

Colore ambrato carico e luminoso, limpido, attraversato da venature aranciate. In testa indossa una poderosa schiuma a grana fine, super compatta, di colore e aspetto pannosi, praticamente immortale.
Naso fedele alla descrizione, dominato dalla frutta, nella fattispecie in polpa a pasta arancione. Nettarine e confettura d’albicocche, cantalupo, polpa d’arancia dolce e un po’ di buccia, anche mandarino. Vaghi ricordi di un frappè alla banana. Cicciona e golosa come solo una Tripel sa essere. La fantomatica luppolatura di stampo americano si perde nella macedonia ma si rinviene nella base di malti caramello, con ricordi di toast e frollino. Poche spezie, parsimoniose: anice stellato, noce moscata, bacche di Timut. E qualche fiore, in particolare rosa, gelsomino e borragine, i suadenti profumi dell’alcol.
Corpo pieno e carbonazione vivace, mouthfeel abbondante e avvolgente. L’alcol arriva subito, fenoli a più non posso e suggestioni di frutta e pasticceria secche (mandorla, Amaretto). Secca anche lei, che potrebbe mondare da qualsiasi grasso residuo. Poi, proprio sul punto di abbandonarsi a lei, arriva l’amaro graffiante. E qui sono dolori.
Un raro caso di personalità birraria doppia: Tripel al naso, Double IPA in bocca. Della Tripel rimane la voluttuosità tattile, che allude – e illude – alla dolcezza. In realtà nasconde un vibrante amaro dal carattere citrico (scorza d’arancia e pompelmo), che subentra a metà sorso e domina tutto il lungo retrogusto. L’alcol elimina eventuali impurità residue, annegandole in un bagno etilico, ricco di aromi (anice, noce moscata, cannella, chiodi di garofano).